L' Empatia nelle relazioni educative
AUTORI
Dott.ssa Danila Romagnolo – Psicoterapeuta ad orientamento psicoanalitico;
Dott.ssa Cristina Viola - Psicoterapeuta ad orientamento psicoanalitico.
Empatici si nasce o si diventa?
L’empatia è una caratteristica della singola persona o è la relazione a diventare empatica?
In che rapporto è l’empatia con la funzione educativa/formativa e l’attenzione alla relazione?
Queste alcune delle domande che ci orienteranno nelle riflessioni attorno al tema dell’empatia, che affronteremo a partire da un breve inquadramento storico per capire:
- da dove deriva questo termine
- come si è diffuso nel linguaggio comune
e con un approfondimento sulle sue implicazioni nelle relazioni educative e formative.
Partiamo dall’inizio.
Empatia deriva dal greco ἐν, "in", e -πάθεια, dalla radice παθ- del verbo πάσχω, "soffro", veniva utilizzato per indicare il rapporto emozionale di partecipazione e coinvolgimento che legava, negli spettacoli teatrali, l’autore-cantore al suo pubblico.
Nella sua accezione originaria, dunque, sembra che il termine empatia richiami la dimensione relazionale data dal coinvolgimento e dalla partecipazione emozionale ad uno stesso contesto.
Nel corso del tempo, e nel linguaggio comune, la parola empatia ha assunto una differente accezione trasformandosi nella “capacità di immedesimarsi in un’altra persona fino a coglierne i pensieri e gli stati d’animo” o anche “la capacità umana di mettersi al posto degli altri per comprenderli meglio”.
In questa trasformazione, sembra che il focus passi dall’attenzione al contesto e alle emozioni sperimentate nella relazione, alla capacità del singolo individuo di immedesimarsi nell’altro.
E’ quest’ultima accezione del termine che prende piede in ambito formativo, in cui di empatia si parla come di una predisposizione, un tratto della personalità, un’abilità, un’attitudine individuale, che l’insegnante/educatore possiede o che può acquisire in quanto tecnica, e che deve eventualmente trasmettere anche allo studente/adolescente, per promuovere sue abilità emozionali come ad esempio l’autoconsapevolezza, la capacità di esprimere e di controllare i sentimenti, gli impulsi, la tensione, l’ansia etc.
Vediamo come in questa accezione si perde la dimensione relazionale e ci si sposta completamente sul piano dell’individuo. L’obiettivo dell’empatia, in ambito formativo, sembra essere quello di applicare delle tecniche per la gestione delle emozioni, senza un interesse ad occuparsi delle emozioni che si sperimentano insieme e che informano della direzione in cui sta andando quella relazione.
Questo modo di pensare l’empatia nasce in rapporto ad una crisi del modello formativo tradizionale.
Tale modello tradizionale prevedeva: l’insegnamento frontale e unidirezionale, focus sui contenuti didattici, lo studente passivo e disciplinato.
L’avvento di un modello di partecipazione più attiva, tanto degli studenti quanto delle loro famiglie, vede nascere una domanda legata non solo all’apprendimento nozionistico, ma anche di attenzione e di presa in carico delle problematiche di tipo relazionale, emozionale e sociale legate al gruppo classe.
Questa trasformazione culturale, ha messo in crisi il modello educativo tradizionale che, in assenza di strumenti per leggere queste nuove domande, ha lasciato spazio a quelle tecniche di gestione e controllo delle emozioni, per “sedare” fenomeni quali bullismo, comportamenti disfunzionali, violenti e aggressivi.
Tali tecniche, si propongono di intervenire su quei comportamenti ritenuti non conformi e/o trasgressivi nelle relazioni educative e formative. L’obiettivo di tali tecniche, quindi, è quello di intervenire sul singolo individuo che li agisce, per modificarli.
Il rischio di un intervento mirato sul singolo, è quello di perdere delle informazioni preziose sul significato che tali comportamenti assumono dentro una relazione, come quella data dall’incontro tra contesti formativi/educativi e studenti/adolescenti/famiglie con la loro domanda di presa in carico psicosociale.
Se l’empatia non è una caratteristica innata del singolo, né una tecnica, ipotizziamo che, l’unico modo utile, per servirsi di tale concetto in ambito formativo, sia quello di pensare l’empatia come la competenza a tenere a mente con quali emozioni, quali aspettative e, di conseguenza, con quali comportamenti, i diversi interlocutori (formatori, minori, studenti, genitori) si avviano all’ incontro con l’altro, per comprendere quali premesse danno forma e organizzano quella specifica relazione.
Con quale obiettivo?
Con l’obiettivo di sviluppare una relazione che promuova il coinvolgimento, l’interesse e la partecipazione di tutti gli interlocutori coinvolti nel processo formativo/educativo.
In conclusione, per riuscire a sviluppare una relazione “empatica” è necessario:
- Porre l’empatia a carico della relazione e non del singolo individuo
- Guardare alla relazione insegnante-studente e/o educatore-adolescente, e non alle caratteristiche dei singoli individui
- Tenere a mente che le emozioni, le aspettative e i comportamenti che organizzano l’incontro tra i diversi interlocutori, sono informazioni di ciò che sta accadendo in quella relazione
- Promuovere il coinvolgimento, l’interesse e la partecipazione come obiettivo del processo educativo/formativo