Gli Adolescenti vanno dallo Psicologo? Per quali problemi genitori e minori si rivolgono ai Servizi per Famiglie
Autrice: Dott.ssa Ludovica Nicolucci,
Psicologa-Psicoterapeuta
Molti preadolescenti e adolescenti arrivano dallo psicologo a causa di emozioni avvertite come negative; la rabbia e l’ansia sono spesso le protagoniste indiscusse, sperimentate in maniera confusa, vengono rifiutate come qualcosa di indesiderabile. Come psicologa, mi fermo a riflettere con loro non tanto sulla gestione della rabbia o sulle tecniche per ridurre la tensione, quanto sul significato delle emozioni stesse: le emozioni ci guidano verso un pensiero su noi stessi, in relazione ai nostri contesti di vita.
Prendiamo ad esempio l’ansia che un adolescente può provare di fronte ad un compito in classe: il ragazzo riconduce il suo malessere alla paura per l’oggetto “compito”, ma l’ansia può rappresentare anche un ottimo deterrente per non misurarsi mai con una dimensione di fallimento.
Ogni emozione ha un suo senso e significato, ma in questa fase specifica dell’età evolutiva il primato, più di ogni altra cosa, è quello del corpo, veicolo attraverso cui le emozioni vengono sperimentate e vissute; lo stesso corpo che è in una fase di profonda transizione e trasformazione e risulta, per questo, difficile da decifrare. Anche i genitori, quando si rivolgono a dei professionisti psicologi, chiedono aiuto principalmente per difficoltà di comunicazione con i propri figli o perché preoccupati da alcuni comportamenti specifici che riguardano, nella maggior parte dei casi anch’essi, la rabbia, l’ansia e a volte il ritiro sociale.
Per i genitori non è facile accogliere e stare al passo con le trasformazioni che i propri figli sperimentano in questa fase di vita e si trovano a loro volta gettati in un mondo completamente nuovo, dove tutte queste emozioni emergono prepotentemente e sembrano creare una distanza tra quella fase “bambina” che è stata da poco attraversata, e a cui la famiglia si era faticosamente abituata, e questa fase “intermedia”, tra l’infanzia e l’età adulta, che proprio per la sua natura sfumata appare caotica: una delle difficoltà che mi trovo maggiormente a riscontrare (sia nei genitori che nei giovani), infatti, è proprio quella difficoltà ad accogliere quegli aspetti di crescita che portano il ragazzo o la ragazza a proiettarsi in avanti, emanciparsi e sperimentarsi non più come bambini, e dunque, a lasciar andare quella dimensione infantile e rassicurante, già nota ad entrambi. L’ansia e il ritiro sociale in quest’ottica possono giocare una funzione estremamente specifica e cioè quella di mantenere il ragazzo o la ragazza dentro dei confini più confortevoli, che appartengono ad una dimensione bambina conosciuta: evitare i possibili fallimenti o delusioni, sottrarsi al confronto con i coetanei o con gli adulti di riferimento esterni alla famiglia, eludere dunque tutte quelle possibilità nuove che si aprono, ma che possono spaventare, e che sanciscono il passaggio dall’infanzia all’età adolescenziale. Anche la rabbia può avere lo stesso senso o, al contrario, potrebbe significare un “taglio”, una distanza, un movimento verso una separazione utile e, dunque, nonostante possa destare apprensione, può invece essere pensata come un’occasione per il ragazzo di saggiare nuovi aspetti di sé, e può quindi essere accolta e al tempo stesso contenuta. E’ importante poter riorganizzare gli spazi e i ruoli familiari in maniera congrua rispetto alle fasi evolutive che i figli stanno attraversando, ridefinendo nuovi confini e nuovi modi di stare in relazione. Per gli adulti, è un momento per ritrovare anche quella dimensione di coppia o individuale di cui, nelle prime fasi della genitorialità, capita sovente di svestirsi.
Quando i genitori, infatti, iniziano a riappropriarsi nuovamente dei propri spazi anche i figli, spesso, cominciano ad esplorare i propri attraversando una separazione difficile, dolorosa come ogni perdita, ma necessaria ed inevitabile. Spingo le persone che seguo a riflettere su questo passaggio come un evento, a suo modo, luttuoso che comporta un completo stravolgimento, una rivoluzione copernicana, ma che non può che essere accolta e assecondata come passaggio naturale in quanto nella maggior parte dei casi quelli che chiamiamo “sintomi”, come appunto la rabbia, l’ansia, il ritiro sociale, possono essere letti come tentativi di eludere tali trasformazioni.
Come psicoterapeuta, nel mio lavoro con i ragazzi, utilizzo spesso il “lei” o il “tu” a seconda della relazione che mi viene portata dal giovane paziente: con il “lei” cerco di attivare l’idea di un dinamismo, di una crescita potenziale in atto quando intravedo il ragazzo intrappolato in una dimensione infantile, con il “tu” cerco invece di riportare ad una fase preadolescenziale o adolescenziale quelli che vogliono invece calarsi nei panni di un adulto fantasticato, tentando anche loro di fugare quella fase trasformativa che il momento evolutivo richiede con i suoi conseguenti turbamenti emotivi.
I genitori o gli adulti di riferimento esterni, come insegnanti o educatori, possono cercare di cogliere in questo modo quei segnali che, se riportati all’interno del contesto della fase evolutiva in atto, possono indicare un’angoscia legata al tema della crescita, e dunque della perdita. Non si è mai sufficientemente equipaggiati e pronti per le separazioni, non esistono manuali o tecniche che ci possano rendere meno vulnerabili di fronte al distacco, ma si può forse accogliere come parte naturale ed inevitabile della vita. Potremmo utilmente orientare anche i più giovani verso una visione della realtà più complessa, forse meno ordinata e confortevole, in cui il confronto al di fuori del contesto famiglia restituirà loro frustrazioni, delusioni e bisogni non soddisfatti, al contrario di quando erano bambini, ma che al tempo stesso li porterà a conoscersi e a relazionarsi con loro stessi (e dunque con gli altri) con maggiore ricchezza e profondità. Queste emozioni, apparentemente negative, diventano dunque un’occasione preziosa di conoscenza non soltanto per i ragazzi ma anche per gli adulti che vi si relazionano perché possiamo imparare, da queste, nuovi aspetti di noi che si trasformano nel tempo e che, se non cediamo al fascino dell’abitudine, possono diventare limpide stelle in un mare, perpetuamente, in tempesta.